Ospedale psichiatrico di Parma in Colorno


Sede: Colorno (Parma)
Date di esistenza: 1819/09/09 - 1996
Condizione giuridica: pubblico

Altre denominazioni
Ospedale psichiatrico provinciale di Parma in Colorno 1865 - 1978

La presa di coscienza della malattia mentale e la creazione di luoghi appositi di ricovero e cura negli ex ducati di Parma e Piacenza non va più indietro della seconda metà del secolo XVIII. Un interessante manoscritto, datato 17 marzo 1762 ma purtroppo anonimo (redatto sotto il ducato di Filippo di Borbone e quindi in pieno clima riformistico cui a Parma darà particolare impulso 1'opera del ministro Guglielmo Du Tillot), e conservato nell'Archivio di Stato di Parma, tratta dello stato degli alienati e dei provvedimenti relativi che si credeva indispensabile prendere, notando che tra i molti ospedali allora esistenti a Parma, non ce n'era uno per «i poveri pazzi» e si proponeva di trovare i fondi necessari «al mantenimento di un serraglio di venti o trenta persone». Soltanto intorno al 1793, però, fu adattata a ricovero dei pazzi una casa di proprietà dell'ospedale della Misericordia (ancor oggi visibile nell'attuale via d' Azeglio, di fronte all'ex ospedale, già sede dell'Archivio di Stato): si trattava di poche e piccole stanze, prive di aria e di luce, dove i ricoverati, spesso legati su letti di legno e nutriti degli avanzi del cibo somministrato agli ammalati dell'ospedale della Misericordia e quasi mai visitati dai medici, ben presto finivano per morire di scorbuto. Questa situazione durò sostanzialmente fino alla presa del potere da parte di Maria Luigia d' Austria, che giunse a Parma nel 1816.
Il 14 febbraio 1818 Maria Luigia nominava una commissione per individuare il luogo più idoneo in cui allogare il nuovo ospedale per i mentecatti e la scelta cadde sull'ex convento di S. Francesco di Paola, posto in Strada Maestra di S. Croce (ora via d'Azeglio), i cui lavori di adattamento furono affidati all'ing. Giuseppe Cocconcelli. Il 9 settembre 1819 fu emanato il Regolamento per l'Ospedale di S. Francesco di Paola, in cui si dettavano le norme, semplici e umane, circa l'amministrazione, la cura e l'assistenza agli ammalati di mente: il giorno successivo dello stesso anno entravano i primi ammalati. Maria Luigia agli inizi di ottobre mandava a Napoli, perchè imparasse dal Linguiti nel manicomio di Aversa, il dottor Gaetano Buccella; morto questi il 30 aprile 1821, fu mandato a Napoli, per circa sette mesi (dal luglio 1821 al febbraio dell'anno seguente) il dottor Francesco Ramolini che al ritorno a Parma presentò un'ampia relazione su quanto osservato ad Aversa, e nella quale espresse le proprie impressioni, che non furono comunque del tutto favorevoli. Con ogni probabilità, Maria Luigia stessa visitò il manicomio di Aversa nel1819: in quell'anno, infatti, essa compì un viaggio nel Regno delle Due Sicilie.
Il 29 aprile 1822 un decreto ducale stabiliva che il nuovo ospedale di S. Francesco fosse dichiarato "spedale centrale pei pazzerelli di tutti i nostri Stati" e che fosse ampliato fino ad accogliere novanta infermi. Dal 1830 comincia la crisi, soprattutto conseguente alla mancanza di spazio e di attrezzature idonee per dar ricovero ad un sempre maggior numero di infermi, tra cui gli affetti da pellagra: le relazioni tecniche e i lavori di adattamento si susseguivano senza soste, senza però trovare una soluzione definitiva; si dovette abbandonare, per mancanza di fondi, anche il progetto di un ospedale completamente nuovo. L' ospedale fu anche temporaneamente chiuso, dal 15 settembre 1854 fino al dicembre 1855, ed i pellagrosi deliranti furono ospitati nell'ospedale della Misericordia.
Venne infine l'annessione al Regno d'Italia e, con essa, la legge del 20 marzo 1865 per l'unificazione amministrativa del Regno, con la quale si obbligava ciascuna provincia a provvedere all'assistenza ed alla cura dei propri mentecatti poveri: quindi l'ospedale di S. Francesco diventò il manicomio della Provincia di Parma, e l'ente Provincia ne ereditò i problemi e dovette pensare subito al modo di risolverli. Malgrado il parere negativo espresso da più parti, compresi i clinici dell'Università - tra cui famoso il professor Inzani - e malgrado il susseguirsi di vari studi, l'epidemia di colera scoppiata a Parma nel 1873 costrinse gli amministratori a trasferire i pazzi nell'ex palazzo ducale di Colorno e nell'ex convento di S. Domenico ad esso attiguo. Avrebbe dovuto essere una soluzione temporanea, ma nella seduta del 5 settembre 1877 il Consiglio provinciale deliberò che l'ex palazzo ducale e l'annesso ex convento dei Domenicani fossero definitivamente adibiti a manicomio provinciale, anche se su questa permanenza moltissime voci si siano levate, di tempo in tempo, per denunciarne l'inadeguatezza e le commissioni si siano succedute le une alle altre per proporre soluzioni più consone al progredire della scienza e della tecnica psichiatrica. Per esempio, nel 1915 si deliberò l'acquisto di un podere ad Antognano di Vigatto, alle porte di Parma, per costruirvi ex novo l' ospedale che, nelle intenzioni degli amministratori, avrebbe dovuto essere il non plus ultra per l'assistenza e la cura dei malati di mente; ma la guerra prima, e la vendita del podere poi (1923), impedirono ancora una volta la risoluzione del problema. A poco giovò anche la costituzione a Parma, nel 1927, della Regia Clinica Neuropsichiatrica, a seguito delle nuove leggi sull'insegnamento universitario, con una convenzione tra l'amministrazione dell'Ospedale Civile, quella della Provincia e l'Università: veniva così a risolversi il problema dell'insegnamento della neuropsichiatria, ma non certo quello dell'assistenza e cura degli infermi di mente della provincia, la struttura della clinica potendo dar ricovero a trenta - quaranta malati, di fronte ai seicento ricoverati a Colorno. Questa soluzione che si credette risolutiva, nel 1936 fallì miseramente e la convenzione venne sciolta.
Nella metà degli anni sessanta nel quadro del movimento antistituzionale che si andava sviluppando in Italia, a Colorno iniziò quel periodo cruciale che ne ha segnato profondamente la storia. Fu il momento in cui l'ospedale psichiatrico di Colorno ebbe massima visibilità ed espresse il massimo collegamento con i grandi processi politici e culturali che avrebbero poi cambiato il volto della psichiatria italiana, divenendo uno dei grandi riferimenti pratici e ideali insieme a Perugia, Arezzo, Gorizia. L'occupazione dell'ospedale psichiatrico nel 1969 coinvolse gli infermieri, i medici, i degenti e i loro familiari, l'Amministrazione provinciale; realtà diverse, con storie differenti, ma con un unico obiettivo: trasformare una istituzione vecchia, chiusa, violenta, in un vero e proprio luogo di cura e di assistenza.
Di questa trasformazione fu artefice Mario Tommasini, Assessore provinciale alla Sanità, che, nel 1969, con grande lungimiranza chiamò a dirigere l'ospedale psichiatrico, Franco Basaglia che rimase a Colorno sino alla tarda primavera del 1971. I cambiamenti avvennero gradualmente negli anni Settanta con l'avviamento della de-istituzionalizzazione degli internati, con la realizzazione di un servizio decentrato, diffuso capillarmente nel territorio, sino alla riforma sanitaria del 1978 e la chiusura definitiva alla fine degli anni novanta.

Per saperne di più
Il manicomio di Colorno
Manicomio di Colorno. Immagini ritrovate



ultimo aggiornamento
27 dicembre 2017